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Vi siete mai chiesti a cosa serve uno stilista?
È importante mettersi in discussione e per questo ho riflettuto volentieri su una domanda che mi è stata posta diverse volte: ma lo stilista serve a qualcosa? Ormai faccio questo lavoro da più di dieci anni e, fra i mille interrogativi esistenziali che mi pongo, ovviamente c’è anche quello legato all’utilità del mio lavoro. Ha un senso a prescindere dalla soddisfazione personale del potersi esprimere creativamente? Ecco cosa mi sono risposta.
Innanzitutto, il mio lavoro ne genera altro: fornitori da cui acquisto i materiali, laboratori che confezionano i miei capi, fotografi, grafici, consulenti che mi aiutano nella comunicazione. Quindi già solo a livello lavorativo sembrerebbe servire a qualcosa, innescando un circuito virtuoso di collaborazioni. Ma a prescindere dal valore economico, che senso hanno per la società la moda e l’impegno di chi la crea?
L’abbigliamento nasce, in origine, come un bene di prima necessità per difendersi dal freddo e come strumento visivamente chiaro per segnalare la comunità a cui si apparteneva o il ruolo svolto all’interno della stessa. Nelle varie epoche storiche si è comunicato con i propri abiti se si era ricchi o poveri, in età da marito, fedeli a un culto in particolare, combattenti per la patria, artisti scapestrati o “persone per bene”.
In fondo anche al giorno d’oggi, sebbene la società sia molto più libera da dresscode rigidamente imposti, l’abbigliamento rimane un complesso linguaggio non verbale con cui si comunica moltissimo.
La scelta di un colore, un logo, una forma, un materiale può raccontare di noi più di quanto immaginiamo e non sarà mai casuale come vorremmo. Possiamo scegliere liberamente cosa indossare, ma pescheremo sempre da un mare di proposte selezionate da altri in base a movimenti sociali ed economici. Movimenti che spesso si mettono in moto ben prima che noi possiamo percepirli! Basti pensare che i colori di tendenza vengono scelti circa due anni prima della vendita al dettaglio delle collezioni per dare il tempo a chi produce i filati di preparare l’offerta sul mercato. E anche nelle forme si anticipano i tempi. Ad esempio, in previsione di una crescita economica, si risponderà in passerella e a seguire sugli scaffali dei negozi con giacche dalle spalle esagerate e squillanti accessori oro e animalier.
Per avere un’idea di quanto si possa rimanere “vittima” di questo meccanismo, immaginate di desiderare un cappotto bordeaux con il collo revers quando né il revers né il bordeaux sono di moda. Missione impossibile! Non troviamo cosa ci piace, ma ciò che dicono debba piacerci insomma.
Tutto ciò che si radica così tanto nella società è cultura e lo stilista agisce in questo contesto socio/culturale. La moda non è arte (salvo rare eccezioni) ma creatività in campo: osserva la comunità e rielabora gli input che reputa rilevanti per produrne di nuovi. Ogni stilista fa la sua personale selezione, coscientemente e non, per produrre qualcosa dal valore non solo personale, ma anche di interesse sociale.
So di essere anch’io influenzata e indotta a determinate scelte senza nemmeno rendermene conto, ma vorrei che nei miei abiti l’ingrediente SASSI restasse sempre il principale, l’ingrediente capace di dare il sapore e il senso al mio lavoro.